mercoledì 10 febbraio 2016

“ Cammini “ come opere pubbliche. A Veio la Francigena regala due nuovi percorsi che mirano al cuore del Parco. Forse è il tempo di sperare di nuovo nel futuro delle nostre aree protette.

Anche Roma partecipa alla apertura di nuovi " cammini d Europa "".
Per il Giubileo la Regione finanzia due nuovi percorsi per la Francigena che entra nel territorio romano.
E delega l' ASTRAL, l'Azienda delle strade regionali a realizzarli. Dal Santuario del Sorbo di Formello si potra' raggiungere la Via Cassia con l'apprezzabile intento di far conoscere a pellegrini e romani il Parco di Veio e i suoi paesaggi attraverso le profonde forre e gli altipiani dove sorgeva l' antica città etrusca.
Italia Nostra considera questo intervento costato un milione e ottocento mila euro un importante passo per rilanciare rutti i Parchi regionali dell area romana.
Di seguito riportiamo il contributo del Vice Presidente Oreste Rutigliano

“ Cammini “ come opere pubbliche. A Veio la Francigena regala due nuovi percorsi che mirano al cuore del Parco. Forse è il tempo di sperare di nuovo nel futuro delle nostre aree protette. 
Aree Protette nell’Area Metropolitane
Vale sempre la pena camminare nella campagna romana ed in particolare nei Parchi regionali urbani e suburbani di Roma. Sono aree protette che si insinuano fin nel cuore della città storica,  che la circondano, o che si spingono nell’area metropolitana fino a legarsi con i comuni limitrofi. Strutture urbanistiche che danno respiro e spezzano la continuità espansiva del cemento. Misurano complessivamente 24.000 ettari. Per meglio capire si consideri che la pur grande Villa Borghese ne misura solo 80. Pensati, voluti ed imposti dalla sezione romana di Italia Nostra in 15 anni di lavoro insieme a tanti e meritori Comitati cittadini riuniti nel Coordinamento Parchi guidati da Celso Coppola, uno di noi.
Qui la campagna è protetta, spazi di natura sopravvivono, il paesaggio affascina per contrasto. Alle spalle fitte quinte di palazzi e subito avanti a te il silenzio, i campi verdissimi o appena arati, le montagne azzurine oltre le chiome degli alberi. La rappresentazione di una via di fuga lungo la quale in ogni momento liberarti dal giogo dell’artificiale urbano in cui la tua vita è ristretta.
Qualche nome è noto anche fuori Roma. Il Parco dell’Appia più di ogni altro, ma anche Monte Mario che domina la città da Ovest. Ma Tutti meriterebbero di essere conosciuti.
La nascita del Parco Regionale di Veio
Ho amato e percorso in ogni direzione il Parco dell’Appia, ma anche la Riserva Naturale della Marcigliana, una grande area agricola di 5000 ettari, tra Salaria e Nomentana al di là del GRA, e più di tutti il Parco di Veio.
Nato letteralmente nelle stanze della sezione di Roma, dalle indicazioni dell’architetto Espedito Tempesta, si estende su 15.000 ettari, di cui 7000 nel comune di Roma e i restanti nel territorio di 8 Comuni contermini Sacrofano, Formello, Campagnano, Riano, Castelnuovo di Porto, Morlupo, Magliano Romano e Mazzano Romano in un ideale triangolo con vertice a Corso Francia tra Cassia e Flaminia.
In tempi oggi impensabili, nei quali la cultura aveva ancora ascolto, al Piano Regolatore di Roma venne annessa la c.d. Carta dell’Agro.  Concepita dall’INARCH e dall’INU prima del 1962 raccoglie su 39 grandi tavole al 10.000 tutto quanto di storico ed archeologico valesse la pena tutelare nella Campagna Romana oltre la cinta delle Mura Aureliane. Negli anni a seguire al 1962 vennero censiti 6000 elementi tra antichi casali, torri, castelli, acquedotti, ruderi imponenti o giacimenti di frammenti fittili, tracciati della rete stradale antica, fontane, edicole. Per ciascuno una schedatura e una collocazione sulle mappe, con appositi simboli rossi.
La Carta dell’Agro fu curata da apposito ufficio del Comune di Roma, allora guidato dall’architetto Tempesta, che portò a termine la definitiva pubblicazione dell’Opera. Egli ci fece notare come accanto al sito della antica città di Veio, a circa 10 km da Roma e lungo le brevi valli che scendono al Tevere, a Nord di Ponte Milvio, sulle mappe della Carta dell’Agro la presenza dei punti rossi fosse più fitta che altrove. Mentre ci incitava a conoscere quel paesaggio che li accoglieva. Era questa la sponda etrusca del fiume, che dopo la sconfitta di Veio, rimase come annientata nei secoli e restituita a noi con le sembianze di un tempo arcaico, che aveva conservato i segni di un lungo medioevo.
Ma bisognava fare presto. Montava allora la corsa alla villa di campagna. Legale od abusiva poco importa. L’assalto poteva cancellare tanta ricchezza storica e culturale. Ci obbligò ad andare. Più e più volte, a piedi, a camminare per esplorare e capire. Fu meraviglia per le antiche tenute dai lunghi filari di pini, per i grandi tumuli di antiche tombe, per le forre precipiti scavate nel tenero tufo del vulcano sabatino, profonde fino a 60-70 metri, ornate da versanti di fitti boschi abitati da istrici e tassi, a custodia di necropoli dimenticate. Una natura che dietro l’angolo di Flaminia e Cassia esprimeva lontananza e avventura.
Veio un tempo territorio aperto, oggi con il Parco paradossalmente sbarrato
Fu allora possibile esplorare ovunque, lungo poderali e strade campestri e per sentieri di cacciatori o tombaroli. Fu possibile immaginare di mettere nei modi più cauti tutto ciò a vantaggio e godimento di tutti gli appassionati, delle famiglie, dei cittadini.
Lasciammo testimonianza degli itinerari possibili sul dossier Veio della rivista “ Roma Rome “, di Armando Ravaglioli, già mitico direttore di “ Capitolium “, pubblicato nel 1985.
Ebbene, già 15 anni dopo, quando il Parco era stato istituito con legge ( 1997 ), quegli itinerari fondamentali di scoperta e conoscenza del territorio veientano non  erano più percorribili. Proprio qui amaramente constatammo i frutti nefasti dei nuovi tempi. La diffusione e lo sparpagliamento delle ville, che vedevamo nascere ai tempi dei primi sopralluoghi, imponeva un nuovo modo di vita nelle campagne. Laddove il contadino viveva libero da ogni paura, ora il cittadino non aduso agli spazi liberi ed aperti imponeva con arroganza e spregio della legge le esigenze della sua sicurezza. I cancelli sono stati chiusi, le poderali interrotte con sbarramenti, o addirittura cancellate dai trattori, le proprietà puntualmente recintate. Il territorio stesso spezzato in tanti scampoli, come il sogno di un grande parco storico e paesaggistico libero ed aperto alla visita in ogni sua parte.
 La Tenuta del Pino invita ancora ad entrare a Veio dalla via Cassia, ma finisci nel cul de sac delle recinzioni senza raggiungerne l’Acropoli di Piazza d’armi. Quel lungo percorso naturale che era degli Etruschi nel fondovalle del Crèmera partendo dalla diga di Castelgiubileo è ora incredibilmente sbarrato in più punti. Stessa cosa lungo la valle della Crescenza, dove 20 ville con le loro pretestuose recinzioni cancellano la storia stessa dell’antico isolamento. E quando nel cuore archeologico del Parco insisti per scendere nelle forre per ritrovare i Bagni della Regina o la via per la Porta Capena ancora una volta ci sono reti invalicabili quanto inutili. E dove non ci sono i privati, dove il lungo itinerario per Veio inizia, a ridosso dell’ultimo edificato, ci pensa l’Istituto Marymount, per ricchi studenti americani a sbarrare per sicurezza la storica via di accesso.
Abbiamo vissuto con rassegnazione questa decadenza delle luminose speranze di allora. Ed abbiamo associato il mancato obiettivo di aprire e rendere agibili vie e sentieri di visita delle aree protette alla generale regressione culturale di questi anni. Alla affermazione del liberismo e dei suoi associati egoismi, alla esaltazione del privato e delle privatizzazioni, che furono oggetto primario delle battaglie di Antonio Cederna. Alla volontà delle classi politiche che governano in Comuni e Regioni di annichilire i parchi ed ogni fastidiosa area protetta e vincolata.
Grazie Francigena ora si espropria per “ Camminare “
Ma ecco che un fatto nuovo ed inaspettato ci viene improvvisamente in soccorso. Sono i Cammini d’Europa. O meglio, lo stimolo che ci viene dalla cultura nord europea a favorire, realizzare e collegare in una rete i cammini di fede e quelli di antica tradizione. In principio fu la Francigena ed infine lo scorso anno il clamoroso esempio dell’Appia di Rumiz. Percorsa tutta a piedi da Roma a Brindisi, lungo tracce , suggestioni ed antichi residui monumenti, dal suo piccolo gruppo diventa l’evento culturale dell’anno e costringe lo stesso Ministro dei Beni Culturali  ad intervenire su questa nuovo settore culturale e turistico. Moderno ed antico allo stesso tempo. Rivincita della lentezza e del paesaggio.
Tornando a Veio, tornando sui nostri passi, sia pure senza entusiamo per far conoscere i luoghi ad amici ignari ora la inaspettata scoperta. Dalla Cassia di Formello puntando diritti sul sito della antica Veio, dei mitici centomila abitanti, non vi era modo di arrivare sull’altopiano di cento ettari delimitato dai due fiumi. Lo si poteva solo vedere da lontano. Ed invece ecco sulla nostra destra una ruspa. Che per una volta non verrà maledetta. Ha aperto un tracciato nella macchia. Lo seguiamo e passiamo nei pressi della famosa Tomba Campana, da tempo non più raggiungibile, e su questa traccia costeggiando il profondo della forra eccoci a superare il corso del torrente Crèmera sul tunnel scavato dagli Etruschi: il Ponte Sodo. Per giungere così al centro stesso di Veio e ad Isola Farnese.
 Il sentiero diventa “ opera pubblica indifferibile ed urgente “.
Ci rendiamo conto che siamo di fronte ad una svolta.
Le strade sono intuitivamente l’ opera pubblica per definizione.
Da più di un secolo esse vengono costruite da chi governa per rendere il più rapido possibile il collegamento tra le città ed a seguire per collegare tutto a tutto sempre più velocemente. Con una rete stradale invasiva fin nei luoghi più remoti.
Col tempo la strada ha formato un binomio indissolubile con l’automobile.
E proprio  per questo da più di un secolo l'opera pubblica "  indifferibile ed urgente " è stata identificata con l’asfalto di strade ed autostrade.
Per esse ogni esproprio è stato ed è  considerato a tutt' oggi sempre e comunque praticabile, quali che siano gli interessi colpiti. Laddove come sappiamo l'esproprio in tempi di liberismo appare istituto logoro e contestato.
 Chi poteva immaginare espropri se non per nuove strade d’asfalto. E invece qui si è espropriato, o comunque, imposto ai privati di far passare chi procede a piedi.

 Il cammino, l' andare a piedi, gli itinerari lenti vengono riconosciuti come valore emergente. Come interesse pubblico primario.
Qualcuno potrebbe obiettare che non è vero, poiché oramai si fanno ovunque piste ciclabili. Va allora chiarito che le piste ciclabili, pur apprezzabili in assoluto, sono frutto di esigenze sociali diverse, strumenti di politica urbana della mobilità, non eventi culturali.
Vengono realizzate, ancora una volta in nome della rapidità, della mobilità individuale, dell' inquinamento da abbattere, della salute, e in fin dei conti da realizzare in ambiti già pubblici. E per quanto ne so, aggiustandosi alle disponibilità di aree che non comportino espropri.

Con il " cammino" il nuovo valore è la lentezza. Con essa l' attenta osservazione, e mi permetto di essere ottimista, con essa anche il “ Paesaggio ”.
Constatiamo che con ben due Varianti della Francigena, e sempre all’interno del Parco di Veio, la Pubblica Amministrazione  si è fatto carico di facilitare il " cammino " e ad esso consentire di cogliere storia, bellezza e paesaggio. Si sono mossi progettisti, imprese, ed adottati appalti e lo sottolineo ancora: espropri. Sono stati impegnati un milione e 800.000 euro.
Una speranza per i tracciati antichi abbandonati e dimenticati

Eravamo abituati a vedere tutti gli itinerari nati per muoversi a velocità naturale, a piedi o a dorso di mulo, destinati a morire, abbandonati a sé stessi, preda delle pretese e della arroganza dei proprietari viciniori oppure destinati ad essere cancellati dalla natura selvatica. Chiuse da rovi  inestricabili o sbarrate da cancelli, sbarramenti, minacciosi cartelli di proprietà privata.
Mi riferisco prima di tutto ai tratturi, tanto declamati, quanto obnubilati, persi, e fagocitati.
Ed ancora alle mulattiere di media montagna, che non hanno avuto il privilegio di essere riutulizzate come sentieri per l'attività esursionistica montana.
Ed infine all' intera rete delle strade poderali, vittime, ahinoi, della residenzialita' diffusa caoticamente nelle campagne.
La villettopoli dei nostri incubi, che cancella anche il paesaggio.


E invece da ieri L’ASTRAL, che è l’ANAS della Regione Lazio, è stata messa al servizio dei “ cammini “ e dei sentieri.
I sentieri sono la vita stessa del Parco.
Tutto questo è in grado di rianimare gli Enti Parco che gestiscono le aree protette nell’area metropolitana. Sono senza consigli direttivi,  senza finanziamenti, con i Piani di Assetto non ancora approvati in Regione e stanno rischiando molto. Senza sentieristica, poi, carente da sempre i Parchi vengono inesorabilmente dimenticati.
Vogliamo credere che questo precedente possa ricondurre gli Enti Parco all’iniziativa, offrendo loro un meccanismo surrogatorio della attuale incapacità di esproprio e di spesa.

Ora gli Enti Parco potrebbero con le più varie motivavazioni invocare l' ASTRAL per la Francigena del sud, per il cammino di S.Benedetto, per il pellegrinaggio alla Madonna del riposo o del Divino Amore, per il cammino dei laghi o quant’altro. Insomma con un po' di fantasia gli Enti parco, anche con sponsorizzazioni, ( come dimenticare il Finanziamento della Società Autostrade per il Parco dell’Appia perso per motivi ideologici ) potrebbero ora mettere mano, per interposta persona, alla realizzazione della rete sentieristica di visita e conoscenza delle nostre amate aree protette.
Qualche appunto sui modi di realizzare i nuovi tracciati

La soddisfazione di vedere aperti dei tracciati da poter percorrere a pieno diritto, e non più sotto il ricatto dei proprietari delle aree attraversate, ci consente di essere più benevoli nel giudicare i modi di realizzare questi nuovi percorsi.
 Anche se “ tragicamente “ appaiono le insufficienze di una classe tecnica che per la prima volta si confronta con un opera " leggera " e che la appesantisce di orpelli o peggio di obbrobri.
Di buono ci sono la larghezza ed il fondo stradale.
La larghezza è misurata. Sempre eccessiva, ma meno per fortuna di una pista ciclabile. Il battuto di tufo ritengo sia consonante con il paesaggio attraversato.
Poi si sbraca sul resto. 


La rete alta 2 metri con pali di castagno regalata al proprietario del fondo è a filo con il percorso.
Una staccionata alla romana con pali di castagno si sviluppa senza alcuna ragione per centinaia di metri per segnare il camminamento, anche dove non vi è alcun pericolo. Sentono i progettisti  la necessità di addomesticare la campagna, troppo primitiva ai loro occhi. La si fa goffamente assomigliare ai giardinetti sotto casa. Se si corre al limitare di un confine squadrato il sentiero piega improvviso ad angolo retto. Il ponte eccessivo  e pesante poggia su plinti di poderoso cemento grezzo. Per la sicurezza dei pedoni poco ci manca che non mettano gard rail ai lati del ponte. I progettisti lo si vede bene, non hanno mai camminato. Chiamati ad improvvisare balbettano, ma per intanto procedono. Se continueranno con le staccionate e magari anche con l’illuminazione, li richiameremo alla realtà di quello che realmente serve per camminare lungo decine o centinaia di chilometri.

Ora ciò che importa è procedere, dare ad ogni costo a ciascun Parco la sua rete sentieristica. Il modo c’è speriamo nasca anche la volontà di adottarlo.

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